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6. Tale assunto non viene condiviso, come si è detto, dalla ricorrente, la quale propone una interpretazione più restrittiva della disposizione in esame, limitando l'obbligo di collaborazione a quelle attività nelle quali il «medico competente» viene direttamente coinvolto dal datore di lavoro, accedendo così 3 t e alla tesi prospettata da autorevole dottrina ma non condivisa dal Tribunale. La questione implica, in primo luogo, una adeguata individuazione del ruolo assegnato al «medico competente» nell'ambito dell'organizzazione aziendale, ruolo che la dottrina citata qualifica di mera consulenza, evidenziando l'anomalia della sottoposizione alla sanzione penale (che non colpisce l'altra figura professionale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione cui pure è attribuito il ruolo di consulente del datare di lavoro), nonostante il fatto che il «medico competente» non possa obbligare il datore di lavoro a consultarlo né disponga di alcuna possibilità di iniziativa nella gestione del processo di valutazione del rischio.

7. Deve osservarsi, a tale proposito, che l'ambito di attribuzione di compiti consultivi al «medico competente» è stato già oggetto di valutazione da parte della giurisprudenza di questa Corte con riferimento alla normativa previgente, considerando la figura professionale in esame - introdotta, per la prima volta, dall'art. 33 d.P.R. 303\1956 - ed osservando che la competenza cui si riferiva la richiamata disposizione riguardava sia la valutazione delle condizioni di salute, avuto riguardo alle sostanze cui il lavoratore è esposto, sia la coadiuvazione del datore di lavoro/dirigente, tenendo conto dell'esito delle visite effettuate, nella individuazione dei rimedi, anche di quelli dettati dal progresso della tecnica, da adottare contro le sostanze tossiche o infettanti o comunque nocive, escludendo, così, una posizione meramente esecutiva ed attribuendo al «medico competente» un ruolo propulsivo che determinava, quale conseguenza, l'assunzione di una autonoma posizione di garanzia in materia sanitaria (Sez. IV n. 5037, 6 febbraio 2001). A conclusioni analoghe si è pervenuti anche successivamente, osservando che il medico aziendale è un collaboratore necessario del datore di lavoro, dotato di professionalità qualificata per coadiuvarlo nell'esercizio della sorveglianza sanitaria nei luoghi di lavoro dove essa è obbligatoria, aggiungendo che la sorveglianza sanitaria, pur costituendo un obbligo per il datore di lavoro per la tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori, deve essere svolta attraverso la collaborazione professionale del medico aziendale (Sez. III n. 1728, 21 gennaio 2005). Del resto, il ruolo di consulente del datare di lavoro è stato attribuito anche al responsabile del servizio di prevenzione e protezione in tale specifica materia, osservando che lo stesso, sebbene privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, svolge il compito di prestare «ausilio» al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché di informazione e formazione dei lavoratori come disposto dall'articolo 33 del d.lgs. 81\2008. Da ciò consegue che, pur restando il datore di lavoro il titolare della posizione di garanzia nella specifica materia, facendo a lui capo l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, non può escludersi una concorrente responsabilità per il verificarsi di un infortunino possa profilarsi anche nei confronti di detto responsabile il quale, ancorché privo di poteri decisionali e di spesa tali da consentire un diretto intervento per rimuovere le situazioni di rischio, può rispondere del fatto quando sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (così Sez. IV n. 2814, 27 gennaio 2011). Deve dunque ritenersi corretta la funzione consultiva attribuita al «medico competente» nell'ambito del rapporto di collaborazione che la legge gli attribuisce ma una eccessiva delimitazione di tale ruolo nei termini indicati in ricorso non può ritenersi corretta.

8. Occorre innanzitutto non dimenticare che le finalità del d.lgs. 81\2008 sono quelle di assicurare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e che la valutazione dei rischi - definita dall'art. 2, comma 1, lett. q) del d.lgs. 81\2008 come la «valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza» - è attribuita dall'art. 29 del medesimo d.lgs. al datore di lavoro, per il quale costituisce, ai sensi dell'art. 17, un obbligo non derogabile. E' evidente, avuto riguardo all'oggetto della valutazione dei rischi, che il datore di lavoro deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti quali, appunto, il «medico competente», portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell'obbligo mediante l'apporto di qualificate cognizioni tecniche. L'espletamento di tali compiti da parte del «medico competente» comporta una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato, ad avviso del Collegio, ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale. Del resto, l'importanza del ruolo sembra essere stata riconosciuta dallo stesso legislatore il quale, nel modificare l'originario contenuto dell'art. 58, ha introdotto la sanzione penale solo con riferimento alla valutazione dei rischi. Tale scelta interpretativa, contrariamente a quanto affermato in ricorso, non presenta difficoltà insormontabili nella individuazione del modello di condotta sanzionabile perché, come correttamente osservato nel provvedimento impugnato, l'ambito della responsabilità penale resta confinato nella violazione dell'obbligo di collaborazione che, come si è detto, comprende anche un'attività propositiva e di informazione che il medico deve svolgere con riferimento al proprio ambito professionale ed il cui adempimento può essere opportunamente documentato o comunque accertato dal giudice del merito caso per caso.