Sentenza
Cassazione (sez. Lavoro/23850 del 5 settembre 2024) sulla figura del Rappresentante dei lavoratori per la Sicurezza.
I giudici hanno dichiarato illegittima la sanzione disciplinare inflitta da un’azienda a un dipendente per le sue dichiarazioni ai media in materia di incidenti sul lavoro.
La sentenza, oltre a ribadire la centralità dell’articolo 39 della Costituzione, sulla libertà di organizzazione sindacale, afferma che l’attività del RLS debba essere equiparata a quella di un rappresentante sindacale.
SEZIONE LAVORO CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
.....
Fatto
1. la Corte d'Appello di Roma, in accoglimento dell'appello di A.A., in riforma della sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato la domanda proposta con ricorso depositato in data 1.4.2015, dichiarava l'illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione per dieci giorni dal lavoro e dalla retribuzione, comminatagli in data 7.10.2010 da Trenitalia (di cui era dipendente con mansioni di macchinista), e condannava la società al pagamento in favore del lavoratore della somma pari alla retribuzione non percepita per i giorni di sospensione, oltre accessori;
2. la Corte, in particolare, rilevato che il dipendente rivestiva all'epoca la carica di coordinatore nazionale Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) ex art. 50 D.Lgs. n. 81/2008, a differenza del Tribunale riteneva che le sue affermazioni, apparse sul portale di informazione on-line UnoNotizie.it in data 24.8.2010 e in una dichiarazione riportata sul quotidiano Il Tirreno il 5.7.2010 (riguardante dati sugli incidenti ai viaggiatori per guasti alle porte e sui decessi per infortuni sul lavoro, poi rettificata circa il periodo temporale di riferimento, stante il fraintendimento del giornalista), fossero state espresse nei limiti della continenza e riconducibili al diritto di critica, in particolare quello riconosciuto al lavoratore sindacalista con caratteristiche tipiche della dialettica sindacale, che possono risultare più aspre e rivendicative rispetto al diritto di critica spettante a ciascun lavoratore, essendo il sindacalista titolare anche di un di un diritto funzionale al perseguimento e alla tutela di interessi collettivi di rilevanza costituzionale (artt. 2 e 39 Cost.);
3. per la cassazione della sentenza d'appello la società propone ricorso con sei motivi, illustrati da memoria; resiste il lavoratore con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza;
Diritto
1. la società ricorrente per cassazione deduce, con il primo motivo, violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per mera apparenza o illogicità della motivazione in ordine al contenuto del primo addebito, nonché nullità della sentenza (art. 360, n. 4, c.p.c.) per mancanza della motivazione sul punto, ex art. 132, n. 4, c.p.c.; si contesta che la Corte di merito, nel valutare il primo addebito (concernente una dichiarazione di solidarietà, apparsa sul portale di informazione on-line UnoNotizie.it in data 24.8.2010, a operai dipendenti Fiat - stabilimento di M, non effettivamente reintegrati a seguito di sentenza, pur percependo lo stipendio, con equiparazione di tale situazione, qualificata come "scorciatoia antidemocratica ed antisindacale", alla situazione dal medesimo vissuta in occasione di suo licenziamento nel 2006, però seguito da reintegrazione in forza di conciliazione prima di provvedimento giudiziale), non abbia rilevato la falsità dell'equiparazione e la conseguente lesività dell'immagine dell'azienda;
2. il motivo è infondato;
3. la motivazione della sentenza gravata sul punto non è né mancante né apparente; invero, la Corte di merito, premessa un'ampia ricostruzione sui limiti del diritto critica nel rapporto di lavoro, e sulla specificità del diritto di critica del lavoratore sindacalista (par. 3.4), ha affermato che il contenuto critico della dichiarazione in questione era rivolto sostanzialmente nei confronti dell'amministratore delegato della Fiat piuttosto che nei confronti di Trenitalia, e che essa si era mantenuta nei limiti delle modalità più aspre che il diritto di critica assume nell'ambito della dialettica tra datore di lavoro e lavoratore sindacalista (par. 5.4);