L’USO SCORRETTO PUÒ ESSERE RAGIONEVOLMENTE PREVEDIBILE ?

Fonte: Inail

PREMESSA - La valutazione del rischio dell’interazione uomo-macchina, specie in presenza di macchine autonome e semiautonome, è resa complessa dalla variabilità delle configurazioni possibili e dei comportamenti umani.
Alla luce di questo, il saper predire l’uso scorretto ragionevolmente prevedibile è un obiettivo complesso anche perché contempla un ambito di possibilità molto ampio.

Gli esempi di “uso scorretto ragionevolmente prevedibile” suggeriti dalla normativa tecnica sono indubbiamente comportamenti possibili durante l’uso della macchina ma non chiaramente contestualizzabili a tipiche configurazioni di interazione. Questo lavoro ha messo a fuoco gli stati cognitivi a cui sono ascrivibili comportamenti involontari, usi scorretti o ragionevolmente prevedibili, nella convinzione che una progettazione vincente in termini di sicurezza deve tendere a finalizzare un’interazione che attivi stati cognitivi scientificamente associabili alla performance dell’operatore.
Tale conoscenza offre al progettista la possibilità di gestire il rischio di uso scorretto ragionevolmente prevedibile con un nuovo approccio.

LA TRASFORMAZIONE DIGITALE E IL CAMBIAMENTO NELL’INTERAZIONE UOMO-MACCHINA

La trasformazione digitale ha introdotto numerose macchine tecnologicamente avanzate nel sistema produttivo, molte delle quali, oggi, interagiscono con l’operatore, non lo sostituiscono.

La diffusione delle cosiddette tecnologie abilitanti ha quindi rivoluzionato i processi produttivi riducendo fortemente alcuni rischi - es. rischi di natura meccanica ma adducendone o incrementatone altri - es. dovuti all’eccessivo o scarso carico mentale - la cui corretta stima è determinante per la progettazione sicura della macchina. Se finora il rischio di contatto con elementi mobili della macchina era sostanzialmente gestito con la separazione fisica tra la macchina e il lavoratore riducendo lo stesso alle fasi necessarie di interazione (es. manutenzione, attrezzaggio e programmazione), ad oggi, soprattutto in presenza di macchine autonome o semiautonome, l’interazione è non solo inevitabile ma la ragione stessa del sistema uomo-macchina.
È evidente che per l’elevata flessibilità e configurabilità dei sistemi produttivi con cui l’operatore si interfaccia e in cui l’operatore stesso concorre, con le sue specificità, all’uso del sistema, la stima dei comportamenti umani, sebbene complessa, diventa indispensabile.

Essendo nota la variabilità delle relazioni (e conseguenze) tra stress mentale e fattori individuali (UNI 10075-1) che influenza il comportamento, un’alternativa valida è aggirare la difficoltà diagnostica e affrontare il problema da un altro punto di vista: individuare i costrutti cognitivi coinvolti (processi attentivi) e i relativi antecedenti (ciò che li innesca), che possono favorire comportamenti associabili ad usi scorretti e progettare per evitare tali costrutti.
Studi scientifici hanno evidenziato che la performance è dipendente dallo stato cognitivo associabile alla condizione di comfort. È quindi pronosticabile che l’errore umano associabile al comportamento involontario o uso scorretto ragionevolmente prevedibile si verifichi quando, durante l’interazione con la macchina, il lavoratore si trova in condizioni di discomfort.
Adottare un approccio antropocentrico significa progettare la macchina per ridurre la probabilità di strain cognitivo durante il task e, conseguentemente, prevenire l’uso scorretto invece che stimarne la possibilità e intervenire a valle per gestire il rischio.
In tal senso, mettere a fuoco i costrutti cognitivi diversi dallo stato di comfort ovvero di massima performance è un’opportunità per aumentare il livello di sicurezza.

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