Rls emarginati, serve più integrazione
Il fenomeno dello stress da lavoro correlato è molto presente nelle aziende, e molto più di quanto viene evidenziato durante la valutazione dei rischi. Ma purtroppo ancora oggi riscontriamo una grande difficoltà a farlo emergere, dettata dal mancato e sistematico coinvolgimento degli Rls. Questi sono ancora troppo emarginati: spesso nelle aziende ci si limita al rispetto minimo di quanto prevede la legge, senza ricercare metodologie condivise. E non si può sostenere la tesi del “problema culturale”: c’è una precisa volontà di non considerare la sicurezza come un investimento in termini economici e sociali.
Lo stress lavoro correlato è certamente un fenomeno complesso. Io lo definisco un “infortunio silente, logorante, prolungato nel tempo e pericolosissimo”. Se trascurato si traduce in un cattivo stato di salute che mina l’efficienza dei lavoratori, che a causa di questo potrebbero, a propria volta, essere vittime di incidenti e gravi infortuni. Lo stress incide anche in termini sociali, basti pensare all’aumento sia dell’utilizzo di farmaci ansiolitici sia dei ricorsi alle strutture sanitarie per la cura di queste patologie. Sicuramente il contesto attuale non aiuta: la crisi economica, l’incertezza e l’indeterminazione del proprio posto di lavoro, i profondi mutamenti del mercato del lavoro (come la gestione unilaterale degli orari da parte delle aziende o la crescente precarietà) sono elementi che incidono anche sulla condizione fisica e mentale dei lavoratori, con un aggravio dello stress.
Solo il dialogo tra forze sociali, associazioni datoriali e organi di vigilanza può portare a individuare le azioni più giuste di prevenzione dello stress lavoro correlato. A partire dal maggiore coinvolgimento degli Rls, non solo nella valutazione preliminare (che non dovrebbe limitarsi all’utilizzo del solo questionario come strumento per l’identificazione dei fattori di rischio), ma anche nell’individuazione dei cosiddetti “eventi sentinella”. Un lavoro che va riversato nel Documento di valutazione dei rischi, che sarebbe “buona pratica” aggiornare comunque ogni due-tre anni, indipendentemente dagli obblighi di legge. Occorre poi trasformare le riunioni periodiche in una vera occasione di confronto tra i soggetti della sicurezza, superando l’attuale mero rispetto “liturgico” di un obbligo di legge. Bisogna anche agire sul medico competente: sarebbe bene, ad esempio, che la sorveglianza sanitaria fosse indirizzata alla verifica dell’esistenza o meno di seri fattori di rischio, invece di utilizzarla soltanto per “classificare” i lavoratori in idonei e non idonei.
Ma al di là dei singoli interventi, lo stress lavoro correlato va affrontato con un percorso integrato di valutazione del rischio. Un percorso che deve partire dalla costituzione di un gruppo di gestione della valutazione (composto di Rls, Rspp e medico competente), con l’obiettivo di programmare e coordinare lo svolgimento dell’intero processo valutativo. Sarà poi questo gruppo a sviluppare sia una strategia formativa e informativa, con particolare cura per lavoratori e Rls, sia il piano di valutazione del rischio per fasi, con la previsioni di step di verifica. Quello che serve, insomma, è andare oltre il “livello minimo di attuazione dell’obbligo”, creando un percorso valutativo e gestionale che coinvolga lavoratori, Rls e tutte le figure della sicurezza, consapevoli che la prevenzione dello stress lavoro correlato è un investimento sul futuro sia dei lavoratori sia dell’azienda.